ETNA: IL PIU’ GRANDE D’EUROPA

L’Etna è il più alto, il più attivo, il più affascinante dei vulcani di tutta Europa.

Dalla sua cima, a 3.350 metri, si possono ammirare il blu del mare sottostante, il fuoco e il fumo che dal cratere toccano il cielo e, per buona parte dell’anno, le vette innevate.

Probabilmente la sua origine si deve a eruzioni sottomarine verificatesi circa 500.000 anni fa.

Nell’arco di 150.000 anni si è formato il grande vulcano che esiste ancora oggi, nonostante le continue trasformazioni subite nel corso del tempo.

Il modo migliore per ammirarlo è sorvolarlo dall’alto con un elicottero, ma lo si può anche scoprire dal basso partendo dal Rifugio Sapienza, salendo poi con la funivia, un fuoristrada oppure anche a piedi.

In cima lo spettacolo è quasi lunare: non ci sono alberi, ma solo sabbia grigia e rocce magmatiche su cui lo sguardo si perde accompagnato dal sordo brontolio del vulcano.

Il poeta greco Pindaro è stato fra i primi a descrivere un’eruzione dell’Etna: ” Dagli abissi del monte zampillano le fonti più pure del fuoco che non si può vedere”.

Efesto, il dio greco del fuoco, usava il cratere dell’Etna come laboratorio per forgiare speciali utensili: le armi di Achille, i sandali alati di Hermes, il carro del Sole, l’arco di Apollo, i fulmini di Zeus, le frecce di Eros, dio dell’amore e molti altri oggetti in argento, rame, ferro, oro e bronzo.

Efesto era zoppo e, nell’Iliade, Omero narra che avesse come sostegno due bellissime figure in oro “simili a ragazze vive”.

Nel Settecento ci sono state sedici grandi eruzioni e nell’Ottocento diciannove. Di quelle più recenti è impossibile tenere il conto: all’improvviso il cielo diventa di fuoco, spesso piovono sabbia nera e cenere e tutto cambia colore.

Dalla bocca del vulcano scende una striscia rosso vivo, la lava incandescente raggiunge la Valle del Bove e non di rado anche Catania dove ha lasciato tracce nelle case, al porto e nei giardini.

Catania e Acireale sono costruite completamente in pietra lavica, la pietra grigia e nera dell’Etna.

Tutto in quelle città richiama la materia e i colori del vulcano.

Nel 1983, con l’uso di esplosivo, viene per la prima volta deviato dall’uomo il corso della lava sull’Etna verso letti artificiali per proteggere i centri abitati.

Un trenino corre lungo le falde dell’Etna attraverso brulle colate di lava e valli ricche di vegetazione.

Il viaggio dura 3 ore e offre una vista eccezionale su un paesaggio spettacolare.

Secondo la leggenda Fata Morgana ospitò il fratello, re Artù, nella sua reggia tra i boschi sull’ Etna tra querce, castagni, pistacchi e funghi.

Dove una volta c’ erano i vulcani, la terra è particolarmente fertile.

Bronte, sull’Etna, è il paese dei pistacchi, usati dai siciliani per fare il pesto, i biscotti e il loro famoso gelato.

Fino a un secolo fa c’erano lupi, daini e caprioli scomparsi con il disboscamento selvaggio, la caccia e l’apertura di nuove strade, sono rimasti solo istrici, volpi, gatti selvatici, lepri, donnole, conigli e ricci ancora facilmente avvistabili.

Il Parco fluviale dell’Alcantara, nel versante nord dell’Etna a cavallo tra Catania e Messina, è ricco di cascate e laghetti, le caratteristiche “gurne” ed è costellato di profonde e suggestive gole.

A Sant’Alfio esiste un gigantesco castagno millenario chiamato “il castagno dei cento cavalli”.

Si narra che in una notte di pioggia una regina, forse Giovanna d’Aragona, si fosse riparata sotto i suoi rami insieme ai suoi cento cavalieri.

Secondo i malevoli erano tutti i suoi amanti.

La cucina di strada in Sicilia (Street food)

Non scandalizzatevi se andando in giro per la Sicilia incontrerete gente che mangia passeggiando, facendo la spesa al mercato, parlando d’affari o d’amore.

Qui si mangia a qualsiasi ora e con le mani, meglio con le dita.

Generalmente si tratta di piccoli e rapidi intingoli cucinati, spesso fritti o sulle braci, e preparati all’aperto, vaccinati contro l’usura del tempo anche perché popolarmente designati a piatti tipici.

È cibo che rimanda alla cucina da asporto o da consumare sul posto, come s’ usava già nel “thermopolion” delle città greche di Sicilia: take away e fast food nacquero nell’ isola oltre duemila anni fa.

Oggi si indica come “cucina di strada” o dei “ buffittien”, dal francese buffet, e fa parte della grande cucina siciliana, meglio ancora è quella di più antica nobiltà.

Si trova ancora negli antichi mercati, tra vicoli e piazzette delle città costiere a Catania, Siracusa o Agrigento, anche se trionfa soprattutto a Palermo e seguono un rituale e degli orari ben precisi che sono gli stessi da secoli.

I siciliani hanno sempre considerato il cibo non solo alimento fisiologico, ma anche appagamento del gusto. In Sicilia non ci si nutre, si mangia sublimando un’esigenza dello spirito.

In Sicilia mangiare è un rito: il cibo si mangia prima con gli occhi, poi aspirando l’aroma che sprigiona e infine assaporandolo. La cucina siciliana è un vero giacimento culturale, l’amalgama perfetto delle influenze delle diverse culture che si sono avvicendate.

L’isola è sempre stata privilegiata da un clima favorevole e da un territorio reso fertile dalla sua origine vulcanica. Al centro del Mediterraneo, ha quindi sviluppato una naturale vocazione per l’agricoltura e la pesca selezionando specie e prodotti dalle caratteristiche organolettiche particolari. Sin dall’antichità la Sicilia era conosciuta per la bontà della sua cucina e Platone stesso cita, e a volte critica, l’attaccamento alla buona tavola dei Siracusani. Il primo vero gastronomo siciliano fu però Archestrato di Gela che, già nel 350 A.C., scrisse un poema in versi intitolato “Hedypàtheia” ( le delizie della vita ), dove racconta quali siano le migliori vivande e i vini più pregiati.

Dopo i Greci ed i Romani, le varie dominazioni che da qui passarono hanno contribuito a rafforzare e migliorare l’identità della cucina siciliana introducendo frutti ed essenze che hanno modificato il paesaggio isolano. Limoni, aranci, mandarini e fichi d’India, nonostante la loro origine esotica, sono diventati parte integrante della nostra storia sino a divenire l’emblema della sicilianità e, prima ancora, il mandorlo introdotto dai Greci ha contribuito a formare il nucleo della nostra pasticceria così ricca e fantasiosa.

Conoscere la cucina siciliana può essere quindi, per il viaggiatore che ha voglia di cimentarsi, una diversa chiave di lettura della sua storia millenaria.

Le ricette, a volte semplici e popolari oppure elaborate ed aristocratiche, rivelano le usanze culinarie dei Greci, Saraceni, Ebrei, Normanni, Francesi e Spagnoli che si sono avvicendati sull’ isola lasciando questa eredità immateriale importantissima.

Ogni piatto conserva, in modo evidente, la memoria delle sue origini e, mentre i grandi cuochi delle famiglie aristocratiche detti Monsù ( traduzione dialettali del francese Monsieur le Chef ) creavano capolavori elaborati come il mitico timballo di maccheroni, gli abitanti dei vicoli invece modificavano le ricette usando ingredienti poveri e accorgimenti della saggezza popolare. A questa cultura s’ ispirò l’imperatore Federico II, lo Stupor Mundi, per la “Regola sanitaria salernitana”, base dell’odierna scienza dell’ alimentazione. Molte delle nostre tradizioni alimentari vengono attribuite agli Arabi e tra le più importanti troviamo la pasta. Furono i Saraceni, prima dell’anno Mille, ad aprire a Trabia, a pochi chilometri da Palermo, i primi impianti artigianali per produrla con la semola di grano duro. Importarono anche la canna da zucchero che gradualmente sostituì il miele e sempre a loro è attribuita l’invenzione del gelato, lo “sherbet” degli emiri arabi che, con le nevi dell’ Etna, dei Nebrodi e delle Madonie, preparavano sorbetti e granite dai gusti più vari, un’usanza assai gradita anche dall’ aristocrazia isolana. Per i dolci, però, bisogna ringraziare le monache dei conventi di clausura sparsi nell’ isola: per secoli custodirono gelosamente i segreti delle loro creazioni fino a quando, con l’Unità d’Italia e la soppressione degli Ordini religiosi, quelle delizie si diffusero in tutta l’Isola.

Questa grande diversità è la chiave della identità isolana, un patrimonio culturale da proteggere, custodire e accrescere insieme ai paesaggi ed ai prodotti delle campagne e soprattutto da quando, nel 2010, anche l’ UNESCO ha aggiunto la “Dieta mediterranea” nella prestigiosa “WORLD HERITAGE LIST”.

Percorreremo insieme un itinerario che, partendo dai singoli siti UNESCO, narrerà la storia culinaria dell’ Isola.