In Sicilia mangiare è un rito: il cibo si mangia prima con gli occhi, poi aspirando l’aroma che sprigiona e infine assaporandolo. La cucina siciliana è un vero giacimento culturale, l’amalgama perfetto delle influenze delle diverse culture che si sono avvicendate.
L’isola è sempre stata privilegiata da un clima favorevole e da un territorio reso fertile dalla sua origine vulcanica. Al centro del Mediterraneo, ha quindi sviluppato una naturale vocazione per l’agricoltura e la pesca selezionando specie e prodotti dalle caratteristiche organolettiche particolari. Sin dall’antichità la Sicilia era conosciuta per la bontà della sua cucina e Platone stesso cita, e a volte critica, l’attaccamento alla buona tavola dei Siracusani. Il primo vero gastronomo siciliano fu però Archestrato di Gela che, già nel 350 A.C., scrisse un poema in versi intitolato “Hedypàtheia” ( le delizie della vita ), dove racconta quali siano le migliori vivande e i vini più pregiati.
Dopo i Greci ed i Romani, le varie dominazioni che da qui passarono hanno contribuito a rafforzare e migliorare l’identità della cucina siciliana introducendo frutti ed essenze che hanno modificato il paesaggio isolano. Limoni, aranci, mandarini e fichi d’India, nonostante la loro origine esotica, sono diventati parte integrante della nostra storia sino a divenire l’emblema della sicilianità e, prima ancora, il mandorlo introdotto dai Greci ha contribuito a formare il nucleo della nostra pasticceria così ricca e fantasiosa.
Conoscere la cucina siciliana può essere quindi, per il viaggiatore che ha voglia di cimentarsi, una diversa chiave di lettura della sua storia millenaria.
Le ricette, a volte semplici e popolari oppure elaborate ed aristocratiche, rivelano le usanze culinarie dei Greci, Saraceni, Ebrei, Normanni, Francesi e Spagnoli che si sono avvicendati sull’ isola lasciando questa eredità immateriale importantissima.
Ogni piatto conserva, in modo evidente, la memoria delle sue origini e, mentre i grandi cuochi delle famiglie aristocratiche detti Monsù ( traduzione dialettali del francese Monsieur le Chef ) creavano capolavori elaborati come il mitico timballo di maccheroni, gli abitanti dei vicoli invece modificavano le ricette usando ingredienti poveri e accorgimenti della saggezza popolare. A questa cultura s’ ispirò l’imperatore Federico II, lo Stupor Mundi, per la “Regola sanitaria salernitana”, base dell’odierna scienza dell’ alimentazione. Molte delle nostre tradizioni alimentari vengono attribuite agli Arabi e tra le più importanti troviamo la pasta. Furono i Saraceni, prima dell’anno Mille, ad aprire a Trabia, a pochi chilometri da Palermo, i primi impianti artigianali per produrla con la semola di grano duro. Importarono anche la canna da zucchero che gradualmente sostituì il miele e sempre a loro è attribuita l’invenzione del gelato, lo “sherbet” degli emiri arabi che, con le nevi dell’ Etna, dei Nebrodi e delle Madonie, preparavano sorbetti e granite dai gusti più vari, un’usanza assai gradita anche dall’ aristocrazia isolana. Per i dolci, però, bisogna ringraziare le monache dei conventi di clausura sparsi nell’ isola: per secoli custodirono gelosamente i segreti delle loro creazioni fino a quando, con l’Unità d’Italia e la soppressione degli Ordini religiosi, quelle delizie si diffusero in tutta l’Isola.
Questa grande diversità è la chiave della identità isolana, un patrimonio culturale da proteggere, custodire e accrescere insieme ai paesaggi ed ai prodotti delle campagne e soprattutto da quando, nel 2010, anche l’ UNESCO ha aggiunto la “Dieta mediterranea” nella prestigiosa “WORLD HERITAGE LIST”.
Percorreremo insieme un itinerario che, partendo dai singoli siti UNESCO, narrerà la storia culinaria dell’ Isola.